Conflitto armato e calamità naturali: proteggere i beni culturali e naturali in caso di crisi

Come vengono colpiti il patrimonio culturale e naturale, inclusi i siti UNESCO, in tempi di crisi? Qual è il contesto normativo internazionale in termini di protezione dei beni culturali e naturali minacciati da conflitti o catastrofi naturali? Quali sono gli strumenti operativi istituiti per assicurare la loro protezione?

Che significa proteggere un sito UNESCO o un bene culturale/naturale in tempo di crisi?

In tempo di pace, i beni culturali e naturali, iscritti o meno nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, sono esposti a un numero di fattori che minacciano la loro conservazione sul lungo periodo. Infatti, nell’ambito dell’esercizio di revisione del Secondo Rapporto Periodico (Sezione II) del 2008, il Comitato del Patrimonio Mondiale ha identificato quattordici fattori che impattano il Valore Universale Eccezionale delle proprietà del Patrimonio Mondiale. Tuttavia, in tempo considerato di crisi, i beni culturali e naturali sono esposti a fattori particolari che accelerano il ritmo della normale degradazione e, alcune volte, causano la loro distruzione. Queste minacce possono essere articolate in due categorie: le minacce di origine naturale e le minacce di origine antropica. Le prime includono i disastri causati da fenomeni naturali come terremoto, inondazione, incendi spontanei, venti forti, eruzioni vulcaniche, ecc. Le minacce di origine antropica comprendono i disastri causati dalle azioni umane come atti di terrorismo, disordini civili, conflitti armati e le pratiche associate come atti di saccheggio, furto, sottrazione, vandalismo, danni collaterali o intenzionali, ecc.


Un excursus tra i siti colpiti da minacce naturali ed antropiche
Con il cambiamento climatico e il riscaldamento globale, la frequenza delle catastrofi naturali sta aumentando. L’Organizzazione Meteorologica Mondiale ha già stimato un aumento di cinque volte del numero di disastri naturali nel corso degli ultimi cinquant’anni; aumento che si spiega in gran parte con il cambiamento climatico (World Meteorological Organization 2021). Quindi, i rischi di distruzione o danneggiamento del Patrimonio Mondiale causati da disastri naturali rischiano di crescere proporzionalmente con l’accentuarsi dei cambiamenti climatici.
Tra i siti iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO distrutti o danneggiati da calamità naturali si può contare il Palazzo del Re Houégbadja  nel sito UNESCO dei Palazzi Reali di Abomey in Benin, le piazze Durbar di Patan, Hanuman Dhoka e Bhaktapur, nel sito UNESCO della Valle di Kathmandu in Nepal, il sito dei Vulcani della Kamčatka in Russia (1996), il sito del Santuario Storico di Machu Picchu in Perù (1983), ecc. (Pavlova et al. 2019, p. 5).
Per quanto riguarda le minacce di origine antropica, la distruzione e il danneggiamento dei siti e dei beni culturalmente significativi in tempo di conflitto è un evento ricorrente nella storia, il che suggerisce che i conflitti armati continueranno ad essere una minaccia per la conservazione dei beni culturali.
La distruzione e il danneggiamento di beni culturali costituiscono modalità strategiche, per l’aggressore, volte non solamente a svuotare le risorse fisiche dell’aggredito ma anche le sue risorse morali, aumentando la probabilità di una vittoria. Di fatto, la perdita di patrimonio sia culturale che naturale avvilisce lo spirito di gruppo e annienta la memoria storica, entrambi elementi essenziali per la formazione e il mantenimento dell’identità di un popolo che costituisce una criticità sia in tempo di pace come di guerra (Patrizi e Sellitto 2017, pp. 29-34).
Tra i siti iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO distrutti o danneggiati da cause antropiche si contano: il museo di Mosul e la tomba del profeta Younis nel sito della Città Vecchia di Mosul in Iraq (lista provvisoria); i mausolei e la biblioteca di Timbuctù e i suoi manoscritti nel sito UNESCO di Timbuctù in Mali (1988); ognuno dei sei siti UNESCO siriani: la città antica di Aleppo (1986), Bosra (1980) e Damasco (1979), il sito di Palmyra (1980), Antichi villaggi della Siria settentrionale (2011) e Crac des Chevaliers e Qal’at Salah El-Din (2006); il Buddha di Bamiyan sul sito UNESCO del Paesaggio Culturale e Resti Archeologici della Valle di Bamiyan in Afghanistan (2003) e purtroppo diversi altri luoghi.
È importante precisare che le proprietà culturali e naturali elencate sopra rappresentano solamente una piccola parte dei siti UNESCO distrutti o danneggiati in tempo di crisi. Il numero di siti vittime di queste calamità è molto maggiore, inclusi soprattutto i siti che non sono iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale. È il caso dell’Ucraina, dove l’UNESCO ha registrato 152 casi (dato al 24 giugno 2022) di danni o di distruzione completa di siti culturali dall’inizio della guerra, ma dove nessuno dei sette siti ucraini iscritti nella Lista è stato finora danneggiato. Questa osservazione suggerisce, tra l’altro, che l’iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO può offrire, in alcune circostanze, una maggiore garanzia di salvezza per i beni culturali minacciati dalla guerra.

Siti minacciati dalla guerra in Ucraina
È difficile stimare con precisione l’entità della perdita e dei danneggiati culturali incontrati dall’Ucraina dall’invasione russa dal 24 febbraio 2022. In un articolo per il giornale francese “Le Monde”, Audrey Azoulay, la direttrice generale dell’UNESCO, ha peraltro sottolineato la difficoltà di valutare lo stato reale di distruzione in un territorio dove si svolge ancora attivamente un conflitto. Le grandi variazioni nelle stime riflettono questa difficoltà. Mentre l’UNESCO ha individuato, fino al 24 giugno 2022, 152 casi di danni o distruzione, il Laboratorio di Monitoraggio del Patrimonio Culturale ha stimato la presenza di 191 siti danneggiati. Tra i beni culturali identificati dall’UNESCO, si contano 70 siti religiosi, 12 musei, 30 palazzi storici, 18 palazzi dedicati alle attività culturali, 15 monumenti e 7 biblioteche, ogni tipologia di partecipazione alla vita culturale, intellettuale, sociale e spirituale della popolazione ucraina.
In risposta a questo bilancio tragico, Audrey Azoulay in una lettera scritta in marzo ha ricordato al governo Russo il suo obbligo di proteggere il patrimonio culturale e naturale dell’Ucraina sotto la Convenzione dell’Aja. Sergei Lavrov, il ministero russo degli affari esteri a cui la lettera era indirizzata, ha risposto dicendo che il governo Russo era “ben consapevole dei suoi obblighi”. È impossibile predire ancora quanti beni culturali saranno danneggiati o distrutti durante la guerra ma una cosa è sicura, il patrimonio culturale ucraino è uno delle numerose vittime della guerra (Gedeon 2022).

Creazione di una cultura di protezione 

Nascita di una coscienza culturale globale dopo la Seconda guerra mondiale: la Convenzione dell’Aja del 1954

Sebbene il danneggiamento e la distruzione di beni culturali durante conflitti armati non siano eventi nuovi nella storia dell’umanità, la presa di coscienza della necessità di prevenire questi eventi in quanto danni al patrimonio culturale dell’umanità avviene dopo la Seconda guerra mondiale. Infatti, l’orrore del conflitto, con le sue perdite umane e culturali straordinarie, ha innescato un desiderio globale di proteggere la bellezza dell’umanità sopravvissuta al conflitto. Nel mondo della cultura, questo desiderio e nuova coscienza globale si sono tradotti attraverso la Convenzione dell’Aja, un trattato internazionale sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato stipulato nella città dell’Aja nel 1954.

La “Convenzione per la protezione dei Beni Culturali in caso di Conflitto Armato” riconosce che i beni culturali sono vittime dei conflitti armati e che lo sviluppo delle tecnologie militari utilizzate in guerra aumenta il rischio di distruzione per i beni culturali. Considera come beni culturali: i beni mobili e immobili di grande importanza per il patrimonio culturale dell’umanità, gli edifici la cui destinazione principale è di conservare o di esporrei beni culturali mobili e i centri comprendenti un numero considerevole di beni culturali (cosiddetti “centri monumentali”). Quindi, la convenzione dell’Aja non protegge solamente i siti UNESCO (peraltro, il concetto di sito UNESCO nasce solamente in 1972) ma tutti i beni riconosciuti in quanto beni culturali, indipendentemente del fatto che siano o no sulla Lista del Patrimonio Mondiale.

La Convenzione riconosce che “i danni arrecati ai beni culturali, a qualsiasi popolo essi appartengano, costituiscono danno al patrimonio culturale dell’umanità intera, poiché ogni popolo contribuisce alla cultura mondiale”. Questa dichiarazione, anche se precede la convenzione sul patrimonio dell’umanità (1972), si basa sulla stessa idea che i beni culturali siano beni di importanza comune per l’umanità. Da questo riconoscimento di un patrimonio comune viene il riconoscimento di una responsabilità comune di protezione di questo patrimonio.

La Convenzione è particolarmente innovativa per quanto riguarda la responsabilizzazione delle parti firmatarie in termini di protezione del patrimonio. Ogni Stato parte infatti, firmando la convenzione, riconosce la sua responsabilità di proteggere i beni culturali sul suo territorio e nei territori che occupa e accetta di:

  • non usare i loro beni culturali, i loro dispositivi di protezione e immediate vicinanze in un modo che potrebbe esporre a distruzione o deterioramento in caso di conflitto armato;
  • proibire, prevenire e far cessare qualsiasi atto di furto, saccheggio o sottrazione di beni culturali sotto qualsiasi forma e di punire individui che sarebbero responsabili di questi atti;
  • assumere la responsabilità di assicurare la salvaguardia e la conservazione continue dei beni culturali in caso di occupazione nel territorio dove si trova la potenza occupante;
  • assicurare la presenza nelle forze armate di un personale specializzato nella protezione dei beni culturali con il compito di assicurare il rispetto dei beni culturali e la collaborazione con le autorità civili incaricate della loro salvaguardia (Art. 7);
  • raggiungere uno standard minimo di salvaguardia e di rispetto dei beni culturali (Art. 24).

Quindi la Convenzione può essere interpretata come un codice di condotta applicabile sia in tempo di guerra che di pace, nell’ottica di anticipare e prevenire i danni ai beni culturali collegati ai conflitti armati. É inoltre efficace sia sul territorio ufficiale della parte firmataria che sui territori che questa occupa. 

Il secondo aspetto cruciale della Convenzione è la creazione di un regime di “protezione speciale”. Con questa protezione speciale, i beni culturali, i loro mezzi di trasporto e i rifugi per i beni mobili godono una “immunità” dal sequestro, dalla cattura e dalla presa (Artt. 9 e 14). Per ricevere questa protezione speciale, i beni culturali devono raggiungere alcuni standard prima di essere iscritti nell’apposito “Registro internazionale dei beni culturali sotto protezione speciale” (Art. 8). Una volta sotto protezione speciale, i beni devono essere muniti del contrassegno della convenzione e devono essere accessibili a un controllo internazionale. (Artt. 10 e 19). La convenzione prevede anche la sospensione dell’immunità in caso di violazione degli impegni da parte del paese membro e ne disciplina le modalità.

Proprietà sul Registro Internazionale dei Beni Culturali sotto Protezione Speciale
L’ultimo Registro Internazionale dei Beni Culturali sotto Protezione Speciale accessibile sul sito web dell’UNESCO data al 23 febbraio 2015 e indica ventuno proprietà registrate fra 1960 e 2015, distribuite in cinque Stati parte. Nel computo è incluso il rifugio Alt-Aussee in Austria, che fu cancellato dal Registro nel 2000.
Le proprietà ancora incluse nel Registro Internazionale dei Beni Culturali sotto protezione sono elencate nella Tabella 1.

Riconoscimento della responsabilità della comunità internazionale nella protezione del Patrimonio Mondiale dell’Umanità: la Convenzione di Parigi del 1972

Diciotto anni dopo la Convenzione dell’Aja, fu stipulata a Parigi la Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Mondiale culturale e naturale. Quest’ultima parte dall’osservazione che: “…il patrimonio culturale e il patrimonio naturale sono vieppiù minacciati di distruzione non soltanto dalle cause tradizionali di degradazione, ma anche dall’evoluzione della vita sociale ed economica che l’aggrava con fenomeni di alterazione o distruzione ancora più temibili”. Si osserva inoltre che, contrariamente alla Convenzione dell’Aja, la Convenzione di Parigi riconosce in quanto Patrimonio Mondiale sia il patrimonio di tipo culturale che il patrimonio di tipo naturale.

In risposta alla sua constatazione iniziale, la Convenzione istituisce norme di protezione nazionali e internazionali per il Patrimonio Mondiale culturale e naturale. Considera come Patrimonio Mondiale culturale e naturale i monumenti e agglomerati riconosciuti come aventi Valore Universale Eccezionale dal punto di vista storico, artistico o scientifico e anche i siti riconosciuti come aventi valore universale eccezionale dal punto di vista storico ed estetico, etnologico o antropologico. Rientrano inoltre nel Patrimonio Mondiale i monumenti naturali, le formazioni geologiche e fisiografiche, le zone costituenti l’habitat di specie animali e vegetali minacciate e i siti naturali o le zone naturali strettamente delimitate di valore universale eccezionale. La Convenzione di Parigi, a differenza della Convenzione dell’Aia, protegge solo i siti considerati Patrimonio Mondiale, cioè i siti iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale, un concetto che la convenzione inaugura nell’articolo 11.

La Convenzione richiede da parte degli stati firmatari:

  • l’integrazione della protezione del loro patrimonio culturale e naturale nei programmi di pianificazione generale;
  • l’istituzione sul loro territorio di almeno un servizio di protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e naturale;
  • lo sviluppo di studi scientifici e tecnici per perfezionare i metodi di intervento che permettono a uno Stato di far fronte ai pericoli che minacciano il patrimonio culturale o naturale;
  • la previsione di provvedimenti giuridici, scientifici, tecnici, amministrativi e finanziari adeguati all’identificazione, la protezione, la conservazione, la valorizzazione e la rianimazione del patrimonio; 
  • di favorire l’istituzione o lo sviluppo di centri nazionali o regionali di formazione nel campo della protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e naturale e la promozione della ricerca scientifica in questo campo.

    Sebbene la Convenzione attribuisca allo stato nazionale la responsabilità primaria dell’identificazione, della protezione, della conservazione, della valorizzazione e della trasmissione alle generazioni future del patrimonio culturale e naturale presente sul suo territorio, riconosce anche agli Stati parte una responsabilità internazionale, per sopperire anche ad una potenziale mancanza di risorse al livello nazionale per il compimento di questi doveri. La convenzione estende formalmente alla comunità internazionale la responsabilità della protezione, impegnando gli stati firmatari a “prestare il proprio concorso all’identificazione, protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e naturale […] sempre che lo Stato sul cui territorio è situato questo patrimonio lo richieda.” Il riconoscimento di una responsabilità internazionale costituisce un secondo punto di partenza rispetto alla Convenzione dell’Aja.
    Per concretizzare la presa di responsabilità della comunità internazionale verso la protezione del Patrimonio Mondiale, la Convenzione ha previsto la creazione del Comitato del Patrimonio Mondiale. Il Comitato si occupa di gestire le richieste e l’offerta di assistenza internazionale agli stati per la protezione del loro patrimonio culturale e naturale. Questa assistenza è finanziata dal fondo del Patrimonio Mondiale e può essere usata solamente per azioni precise definite nell’articolo 22 e per beni “minacciati di gravi e precisi pericoli, come minaccia di sparizione dovuta a degradazione accelerata, progetti di grandi lavori pubblici o privati, rapido sviluppo urbano e turistico, distruzione dovuta a cambiamenti d’utilizzazione o di proprietà terriera, alterazioni profonde dovute a causa ignota, abbandono per ragioni qualsiasi, conflitto armato o minaccia di un tale conflitto, calamità e cataclismi, grandi incendi, terremoti, scoscendimenti, eruzioni vulcaniche, modificazione del livello delle acque, inondazioni, maremoti” (Art. 11).

Adattarsi a un mondo che cambia: il Secondo Protocollo della Convenzione dell’Aja (1999)

Nel 1999 fu redatto il Secondo Protocollo della Convenzione dell’Aja. Il Secondo Protocollo fu formulato per rispondere a una domanda di aggiornamento della Convenzione dell’Aja davanti allo sviluppo sia del diritto internazionale che dei metodi, strategie e strumenti usati nei conflitti armati. Questo Secondo Protocollo approfondisce e declina le modalità operative per la gestione dei beni culturali (particolarmente i beni culturali ricadenti su territori occupati durante un conflitto armato), apporta precisazioni sull’applicazione della Convenzione e introduce nuove misure come la possibilità di ottenere deroghe dalle obbligazioni della Convenzione sulla base della necessità militare imperativa. Considera come beni culturali quei beni definiti nell’articolo 1 della Convenzione e dunque non si applica solamente ai beni culturali iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.

Ma la vera novità del Secondo Protocollo è l’aggiornamento del regime di protezione speciale attraverso l’istituzione di un regime di protezione rafforzata. Il regime di protezione rafforzata si distingue di quello di protezione speciale per le caratteristiche che i beni culturali devono esibire per essere ammissibili. Infatti, devono soddisfare le seguenti tre condizioni:

  • rivestire una grande importanza per l’umanità;
  • essere protetti da misure interne, giuridiche e amministrative adeguate che riconoscono il loro valore culturale e storico eccezionale e che garantiscono il più alto livello di protezione;
  • non essere utilizzati per scopi militari o per proteggere siti militari, inoltre lo Stato parte sotto il cui controllo si trova il bene ha confermato in una dichiarazione che non sarà utilizzato per tali scopi.

I beni culturali sotto protezione rafforzata sono iscritti nella Lista dei Beni Culturali sotto Protezione Rafforzata e beneficiano della stessa “immunità” che è stata avanzata nella Convenzione. Ma, il Secondo Protocollo introduce la possibilità di perdere la detta immunità nel caso in cui il bene culturale, per l’uso che ne viene fatto, sia diventato un obiettivo militare.
Infine, il Secondo Protocollo istituisce anche il Comitato per la Protezione dei Beni Culturali in caso di Conflitto Armato principalmente per gestire le richieste e l’offerta di protezione rafforzata, le richieste e l’offerta di assistenza internazionale, l’uso del fondo per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato che finanzia la detta assistenza e l’attuazione del Protocollo.  


Beni culturali nella Lista internazionale dei siti sotto protezione rafforzata
Oggi la Lista Internazionale dei Beni Culturali sotto Protezione Rafforzata contiene sedici proprietà sotto protezione rafforzata e una proprietà sotto protezione rafforzata provvisoria.  Le proprietà sono situate in dieci paesi diversi, tra cui Belgio, Cipro e Italia hanno il maggior numero di proprietà iscritte nella lista. I beni culturali iscritti nella lista sono contenuti nella Tabella 2.

Se si traccia l’evoluzione normativa della protezione dei beni culturali e naturali a livello mondiale, si può osservare che l’approccio alla materia si è perfezionato nel tempo, aggiornandosi continuamente per rispondere a nuove minacce, tecnologie, leggi e regolamenti, bisogni e vincoli in continua evoluzione.
Dal riconoscimento della minaccia rappresentata dai conflitti armati, a quella rappresentata dai disastri naturali, all’ampliamento della definizione di Patrimonio Mondiale con l’inclusione del patrimonio naturale, le convenzioni e i protocolli internazionali (spesso redatti e adottati nell’ambito dell’UNESCO) sono dedicati alla protezione di un patrimonio mondiale definito in termini sempre più inclusivi di fronte a un numero sempre maggiore di minacce, indipendentemente dal fatto che sia iscritto o meno nella Lista del Patrimonio Mondiale.

Realizzazione e implementazione di strutture e strumenti operativi

Per implementare le norme di protezione del patrimonio istituite nelle convenzioni e protocolli internazionali e dall’UNESCO, sono state create strutture sia governative che non governative:

  • Il Comitato del Patrimonio Mondiale

A livello governativo, come previsto nella Convenzione di Parigi di 1972, il Comitato del Patrimonio Mondiale si occupa di gestire le richieste e l’offerta dell’assistenza internazionale prevista dalla Convenzione. A questo scopo si occupa dell’allestimento e dell’aggiornamento della Lista del Patrimonio Mondiale e della Lista del Patrimonio Mondiale in Pericolo. Il Comitato è quindi l’organo organizzativo che, in ultima analisi, decide se un sito soddisfa i requisiti di Valore Universale Eccezionale necessari per essere iscritto nella Lista del Patrimonio Mondiale e se un sito può e sarà iscritto nella Lista del Patrimonio Mondiale in Pericolo.
In particolare quest’ultima costituisce un elenco di beni, iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale, per i quali è stato definito un pericolo “accertato” o “potenziale”, la cui conservazione richiede importanti azioni e per i quali è stata richiesta al Comitato assistenza, ai sensi della Convenzione.

  • Il Comitato per la Protezione dei Beni Culturali in caso di Conflitto Armato

Sempre al livello governativo, ma questa volta come previsto nel Secondo Protocollo della Convenzione dell’Aja (1999), il Comitato per la Protezione dei Beni Culturali in caso di Conflitto Armato assume funzioni multiple. Per prima cosa si occupa di gestire le richieste e l’offerta della protezione rafforzata prevista nel protocollo e di allestire e aggiornare la Lista dei Beni Culturali sotto Protezione Rafforzata. Inoltre, si occupa di elaborare le linee direttrici per l’applicazione del Protocollo e di seguire e controllare tale applicazione.

  • Il Comitato Internazionale dello Scudo Blu (ICBS)

Istituito in 1996 dall’UNESCO in concorso con le quattro ONG più importanti del settore della cultura (ICOMOS, ICOM, ICA, IFLA), il Comitato Internazionale dello Scudo Blu è un’organizzazione internazionale non governativa, senza scopo di lucro, equivalente al Comitato Internazionale della Croce Rossa nel settore della protezione del patrimonio culturale. Come dichiara il suo Statuto, l’organizzazione si impegna più precisamente a “proteggere i beni culturali del mondo e [occuparsi] della tutela del patrimonio culturale e naturale, materiale e immateriale, in caso di conflitti armati e disastri naturali o causati dall’uomo” (Art.2, 2.1).
Da questo impegno nascono quattro obiettivi principali:
facilitare la risposta internazionale alle minacce o alle emergenze attraverso la cooperazione tra l’ICBS e le organizzazioni nazionali;
proporre i propri servizi in termini di competenze;
incoraggiare la salvaguardia e il rispetto dei beni culturali e, in particolare, promuovere standard di preparazione ai rischi;
formare esperti al livello nazionale o regionale per prevenire, controllare e recuperare i disastri.

Il Comitato, per raggiungere questi obiettivi, si concentra su tre aree di intervento : la sensibilizzazione sui danni al patrimonio culturale; l’attuazione di programmi per la prevenzione e la gestione dei disastri e per la successiva ricostruzione; l’identificazione delle risorse per la prevenzione e l’intervento rapido in situazioni di emergenza. Ciascuna azione condotta dal ICBS deve rispettare i principi fondamentali dell’organizzazione che sono stati istituiti nell’atto costitutivo elaborato a Strasburgo nel 2000. Questi sei principi fondamentali sono: coordinamento, indipendenza, neutralità, professionalità, rispetto dell’identità culturale e volontariato.

Il Comitato Internazionale dello Scudo Blu è direttamente menzionato nel Secondo Protocollo della Convenzione dell’Aja come un’organizzazione con le competenze adeguate a raccomandare al Comitato per la Protezione dei Beni Culturali in caso di Conflitto Armato quei beni che dovrebbero essere inseriti nella Lista dei Beni Culturali sotto Protezione Rafforzata. Il ICBS fa anche parte delle “eminenti organizzazioni professionali” che possono essere invitate alle riunioni del Comitato insieme con i rappresentanti dell’ICCROM e del CICR, a dimostrazione della notevole credibilità che l’organismo, piuttosto giovane, ha acquisito nel mondo della protezione dei beni culturali.

Nel 2016, il Comitato si è formalmente fuso con l’Associazione dei Comitati Nazionali dello Scudo Blu (ANCBS) per diventare un’unica organizzazione: lo Scudo Blu (Internazionale). Lo Scudo Blu continua a sostenere i principi fondamentali e la missione del ICBS.


La protezione dei beni culturali: zoom sull’Italia

  • Lo Scudo Blu Italiano (SBI)

Lo Scudo Blu Internazionale, già Comitato Internazionale dello Scudo Blu Italiano (SBI) nasce nel 2002 quando il Comitato Internazionale approva la sua istituzione.  All’epoca fu deciso che lo Scudo Blu Italiano sarebbe stato una struttura di coordinamento di organizzazioni non governative, associazioni, istituzioni ed enti culturali di rilevanza nazionale con l’obiettivo generale di promuovere azioni atte a garantire il rispetto e la salvaguardia del patrimonio culturale presente nel territorio nazionale, promuovendo la cultura della sicurezza e della protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato o di calamità naturale (Carcione 2006).

A tal fine, il comitato agiva in due ambiti principali di attività: il primo era quello dell’informazione, della sensibilizzazione e della formazione della società civile (incluso l’ambiente militare) riguardo alla sicurezza e la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato e di calamità naturali. Il secondo ambito riguardava la formazione tecnica degli esperti in materia di prevenzione e sicurezza.

Successivamente, nel 2014, ICOM Italia e ICOMOS Italia, con l’adesione della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, firmano un protocollo d’intesa che sistematizza formalmente i principi costitutivi, lo scopo, le attività e le modalità del Comitato Nazionale Italiano dello Scudo Blu.

Il protocollo d’intesa fissa che lo Scudo Blu Italiano operi secondo i principi espressi dalla Convenzione dell’Aja del 1954, della Convenzione di Parigi del 1972 e del Secondo Protocollo della Convenzione dell’Aja del 1999. L’accordo precisa inoltre l’obiettivo generale dello Scudo Blu Italiano, ossia la promozione presso “lo Stato ed il Governo Italiano, gli Enti e le Istituzioni Pubbliche e Private, la “cultura della sicurezza e della protezione” del patrimonio culturale e paesaggistico nazionale in caso di conflitto armato, di calamità naturali o dell’azione dell’uomo, garantendone la trasmissione alle generazioni future”. Il protocollo elenca anche una serie d’azioni a servizio degli obiettivi dello SBI, tra queste ci sono:

contribuire alla diffusione ed all’effettiva applicazione dello spirito della Convenzione dell’Aja (1954) e di Parigi (1972), ma anche della normativa nazionale e regionale in materia di salvaguardia, conservazione e sicurezza del Patrimonio;
promuovere iniziative finalizzate alla prevenzione dei rischi, al mantenimento degli standard di gestione del rischio tra i responsabili per il Patrimonio a tutti i livelli e la diffusione di un approccio culturale dell’emergenza basata sulla prevenzione;
collaborare con e facilitare la cooperazione fra i diversi enti e istituzioni coinvolti sia a ogni livello territoriale che al livello internazionale. 

Tuttavia, nel 2020, il comitato è stato dichiarato inattivo dallo Scudo Blu Internazionale. Per questa ragione il Comitato Nazionale Italiano dello Scudo Blu oggi non figura oggi nella lista dei comitati nazionali registrati. I due gruppi hanno recentemente presentato la loro domanda per rifondare il comitato, lasciando presagire che l’Italia avrà a breve di nuovo il suo Comitato Nazionale dello Scudo Blu.

  • Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (TPC)

Il Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dell’Arma dei Carabinieri (in seguito Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale) nasce nel 1969 ed è il primo corpo di polizia al mondo specializzato nella lotta al traffico illecito di opere d’arte. Questa iniziativa precede di un anno la Convenzione di Parigi di 1970 che contrasta il traffico illecito di beni culturali e quindi presenta l’Italia come un leader e una presenza innovatrice nel settore della protezione dei beni culturali. Oggi il Comando, inserito funzionalmente nell’ambito del Ministero della Cultura, svolge compiti concernenti la sicurezza e la salvaguardia del patrimonio culturale nazionale attraverso la prevenzione e la repressione delle violazioni alla legislazione italiana di tutela dei beni culturali e paesaggistici. Il Comando è anche un polo informativo e di analisi importante che continua ad assumere il suo ruolo di leader, segnatamente con la sua “Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti”, la più grande a livello mondiale nello specifico settore, che contiene informazioni sui beni da ricercare, di provenienza italiana ed estera. Durante i suoi 50 anni di attività, il Comando ha recuperato 803.199 beni culturali e oltre 1.136.876 reperti archeologici, sequestrato 1.363.232 opere false, arrestato 1.384 autori di delitti legati all’arte e deferito all’Autorità Giudiziaria oltre 23.000 soggetti. (Pierini 2019).

Maggiori informazioni circa il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale sono illustrate in questo VIDEO sulle diverse missioni e operazioni del Comando

  • I Caschi Blu della Cultura

Nell’ambito dell’iniziativa “Unite4Heritage” lanciata dall’allora Direttore Generale dell’UNESCO Irina Bokova (in carica dal 2009 al 2017), in risposta alla domanda crescente di azioni concrete per la salvaguardia del patrimonio culturale il Governo italiano ha istituito i Caschi Blu della Cultura, una task force messa a disposizione dell’UNESCO, che agisce per la sicurezza dei beni culturali in aree colpite da emergenze sia di carattere naturale che antropico. La squadra riunisce esperti del Ministero della Cultura e personale militare altamente qualificato del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale per:

salvaguardare i siti archeologici, i luoghi della cultura ed i beni culturali;
contrastare il traffico internazionale di beni culturali illecitamente sottratti;
supportare le Autorità dei Paesi esteri richiedenti, nella predisposizione di misure atte a limitare i rischi che situazioni di crisi o emergenziali potrebbero arrecare al patrimonio culturale di quella Nazione.

La task force è già intervenuta in molteplici situazioni di emergenza sia in Italia che all’estero con risultati eccezionali. I Caschi Blu della Cultura hanno contribuito, in collaborazione con il Comando TPC, al recupero e alla messa in sicurezza di oltre 29.500 beni culturali a rischio di distruzione, dispersione e furto nelle aree dell’Italia centrale e dell’isola di Ischia, colpite dai recenti eventi sismici. Hanno anche permesso la formazione di personale del Ministero degli Interni e del Ministero della Cultura e delle Antichità in Iraq e l’istituzione di una task force gemella in Messico (dal sito web del Ministero della Cultura 2022).
La creazione di questo organismo, primo nel mondo nel suo genere, e i suoi risultati concreti e immediati dimostrano ancora una volta la posizione di leadership che l’Italia occupa nel settore della protezione dei beni culturali.

Bibliografia e Sitografia

Manon Le Bourgeois