Antropocene. L’epoca umana

Il termine Antropocene è stato coniato, all’inizio del nuovo millennio, nell’ambito delle Scienze della Terra, per indicare una fase geologica in cui, terminato l’Olocene, il successivo periodo si connota per l’assoluta prevalenza dell’Uomo come agente formativo delle dinamiche di trasformazione della Terra.

Antropocene, cos’è?

Il termine Antropocene è stato coniato, all’inizio del nuovo millennio, nell’ambito delle Scienze della Terra, per indicare una fase geologica in cui, terminato l’Olocene, il successivo periodo si connota per l’assoluta prevalenza dell’Uomo come agente formativo delle dinamiche di trasformazione della Terra. Tra i primi a parlare di Antropocene, lanciando un termine destinato a cristallizzarsi nel lessico di tante discipline, scientifiche e non, è stato l’ingegnere e meteorologo olandese, premio Nobel per la chimica, Paul Crutzen, scomparso nel 2021 all’età di 87 anni.

Il processo di definizione: approvazione e limiti cronologici

I macro-processi di accumulo/erosione/trasformazione (chimica e fisica) del nostro Pianeta, che fino alla Rivoluzione Industriale erano stati pressoché assoluto appannaggio della Natura, hanno subito un progressivo cambiamento di rotta, nel senso di una esponenziale responsabilità delle azioni umane sulla diretta modificazione dei parametri fisici, chimici e biologici nei depositi geologici.

Tanto più evidente è stato il fenomeno a seguito della globalizzazione industriale, tale da indurre la Sottocommissione sulla Stratigrafia del Quaternario (Subcommission on Quaternary Stratigraphy, o più comunemente AWG Group) dell’ICS (International Commission on Stratigraphy) a costituire, nel 2009, un vero e proprio gruppo di lavoro che approfondisse la tematica dell’Antropocene, vagliando la possibilità di inserirlo nella Scala Cronologica Geologica come era successiva all’Olocene (Working Group on Anthropocene).

A seguito di una articolata riflessione, durata dieci anni, il 21 Maggio 2019, il Gruppo di lavoro ha votato una risoluzione nella quale si risponde in modo affermativo alla domanda se l’Antropocene possa essere considerato una specifica unità crono-stratigrafica, i cui segnali rivelatori possono essere identificati con chiarezza a partire dalla metà del XX secolo.

La discussione circa l’adozione del termine Antropocene come unità cronostratigrafica riconosciuta nella seriazione del Quaternario è tuttora aperta, e la sua adozione ufficiale, dovrà essere ratificata dalla Commissione Esecutiva dell’IUGS (Executive Committee of the International Union of Geological Sciences), tuttavia sono state poste già tutte le basi necessarie a rendere imperiosa una nuova riflessione, a livello globale, sul significato della presenza dell’Uomo sulla Terra.

Le più recenti posizioni della comunità scientifica coinvolta nel processo di definizione dell’Antropocene in termini cronostratigrafici tende a spostare in avanti il termine di inizio della periodizzazione, collocandola in una fase (metà del XX secolo) definita della “Grande Accelerazione”.
Tuttavia, nelle intenzioni dei primi scienziati che hanno parlato di Antropocene possiamo chiaramente intuire una visione più ampia, che contestualizza molto concretamente la ricaduta di precise azioni umane al cambiamento climatico e, più in generale, alla storia del Pianeta, già da una fase decisamente precedente:

“In proposing this new term, Crutzen and Stoermer (…) indicated the onset of the Anthropocene as “the latter part of the 18th century … when data retrieved from glacial ice cores show the beginning of a growth in the atmospheric concentrations of several ‘greenhouse gases’, in particular CO2 and CH4.” They, and Crutzen (…), linked this physical record with the global effects of human activities associated with the onset of the Industrial Revolution in the UK, catalyzed by the development of a greatly improved steam engine by James Watt.”
(Waters C.N. et alii 2021, p. 2)

Poiché questa riflessione sui processi di trasformazione del Pianeta coinvolge ambiti e livelli dell’agire umano di enorme ampiezza, il termine Antropocene è ormai di fatto impiegato su una scala che travalica l’ambito delle Scienze della Terra, coinvolgendo aspetti di sostenibilità ed etica ambientale, socioantropologia e, più in generale, delle scienze umanistiche e sociali.
Gli studiosi delle più varie discipline si interrogano non solo sui presupposti di una tale definizione, ma soprattutto sulle conseguenze di questa incontrollata antropizzazione, in un dibattito che non può mancare di un approccio olistico e globale.

Olocene
L’Olocene è l’epoca geologica che ha avuto il suo inizio convenzionalmente circa 11.700 anni fa.

Il limite inferiore con il Pleistocene, è definito sulla base del decadimento di un isotopo radioattivo del carbonio, il C14, e coincide approssimativamente con il termine dell’ultima fase glaciale che ha interessato l’emisfero settentrionale. L’Olocene è la seconda epoca del periodo Quaternario. Il suo nome deriva dal greco ὅλος (holos, del tutto, assolutamente) e καινός (kainos, recente).

Il periodo segue la Glaciazione Würm (nota anche come glaciazione baltico-scandinava o glaciazione weichseliana) e si caratterizza per le notevoli fluttuazioni delle fasi climatiche che hanno concorso ad una sua suddivisione in cinque cronozone: Preboreale (ca. 10.000 – 9000 a.C.)
Boreale (ca. 9000 – 7000 a.C.)
Atlantica (ca. 7000 – 3.700 a.C.)
Subboreale (ca. 3.700 – 450 a.C.
Subatlantica (450 a.C. – presente)

La civiltà umana moderna viene datata interamente all’interno dell’Olocene, questo è tuttora valido fino a quando l’IUGS (v. sopra) non approverà in via definitiva l’esistenza della nuova era Antropocene.
La classificazione di Blytt-Sernander dei periodi climatici, definita inizialmente in base ai residui di muschio del genere Sphagnum, è adesso puramente di interesse storico. Lo schema era definito per il Nord Europa, ma ritenendo che i mutamenti climatici si applicassero a tutte le aree. I periodi dello schema includono alcune oscillazioni finali dell’ultimo periodo glaciale pre-Olocenico e classifica poi i climi della preistoria più recente. Il carattere di recenziorità che presenta l’Olocene lo distingue dai precedenti periodi (ad es. il Pleistocene) anche per l’impossibilità da parte dei paleontologi, a causa del grande dettaglio disponibile per areali geografici diversi, di determinare veri e propri stadi faunistici per l’Olocene. Quando si rende necessaria una suddivisione, vengono di solito usati i periodi dello sviluppo tecnologico umano come il Mesolitico, Neolitico e l’Età del Bronzo. Tuttavia, i periodi di tempo a cui ci si riferisce con questi termini variano in funzione della differente comparsa di quelle tecnologie nelle varie parti del mondo.

Antropocene come consapevolezza: emozionare non per stupire ma per rendere partecipi

La definizione di Antropocene in ambito geostratigrafico si basa, come per tutte le ere che l’hanno preceduto, su presupposti “isosincronici”, ossia su fenomeni, documentabili e riscontrabili su tutto il Pianeta, nell’arco del medesimo tempo.

Ma sin dalla sua prima comparsa, Antropocene si configura come “L’Età dell’Uomo”, e in questa visione allargata, si connota come “diacronico”, “trans-temporale” e varia regionalmente, sin da quando Homo Sapiens ha guadagnato la capacità di modificare l’ecologia del Pianeta come mai nessuna altra specie ha potuto fare.

Nonostante questa peculiare scala “spazio-temporale”, la “Great Acceleration” come è stata definita, ha prodotto tracce ben visibili di questo “alto impatto antropico” tali da configurare significativi, duraturi e vasti fenomeni di cambiamento nell’ecosistema terrestre, oggi ben visibili e documentabili.

La mostra
Viviamo in un momento storico che ci ha abituati ad un cambiamento radicale nella comunicazione, passando da mezzi più lenti e a carattere speculativo, come ad esempio la lettura, al bombardamento visivo delle immagini. 

Spesso questo rapido ed esponenziale cambiamento di paradigma ha portato a sostituire la riflessione con l’istintività, l’analisi con la sintetizzazione spesso estrema, non di rado preferendo una informazione sbrigativa ad una sintetica, sostituendo, ad un apprendimento critico, una conoscenza superficiale.

Ma il mezzo informativo, di qualunque tipo sia, è solo un mediatore tra la nostra mente, la capacità logica, ed il nostro mondo emozionale. È quindi possibile arrivare ad una profonda presa di coscienza, di fatti e fenomeni tangibili, anche attraverso l’uso delle immagini, utilizzandone la forza espressiva per arrivare a toccare e far vibrare le più profonde corde emozionali.

È questo lo strumento che ha saputo molto efficacemente impegnare la mostra Antropocene, curata da Urs Stahel, Sophie Hackett e Andrea Kunard ed organizzata dalla Art Gallery of Ontario e dal Canadian Photography Institute della National Gallery of Canada in partnership con la Fondazione MAST di Bologna, che utilizzando come mezzo di espressione quasi esclusivamente la “visione”, ha trasformato le immagini in apprendimento coscienziale, permettendo agli spettatori, tra cui moltissime scolaresche e giovani, di comprendere davvero la portata del fenomeno Antropocene.

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L’Antropocene nella letteratura
Una breve presentazione per mostrare come molti autori del passato, visionari e geniali al contempo, avessero intuito la portata delle trasformazioni che, nel corso del XIX secolo, ebbero luogo in Europa, e con particolare enfasi nel Regno Unito.

Già alla fine degli anni ’80 dello scorso secolo, dalla definizione coniata dallo scrittore di fantascienza K. W. Jeter e soprattutto dopo l’uscita del noto romanzo di William Gibson e Bruce Sterling “La macchina della realtà” (The Difference Engine, 1990), cui sono seguite opere cinematografiche diretti da registi del calibro di Terry Gilliam, Antony Lucas, Luc Besson e soprattutto Tim Burton, una corrente definita Steampunk ha riportato alla ribalta la “rivoluzione del vapore”, rivisitata in chiave fantascientifica ed onirica.

E così si viene a creare uno strano connubio, tra Steampunk ed Antropocene appunto, dove si enfatizza che, al di là delle dotte disquisizioni scientifiche che a tutt’oggi tentano di definire un termine cronostratigrafico per l’inizio di questa nuova Era, nell’immaginario delle giovani generazioni l’industrializzazione, sin dai suoi esordi, deteneva chiaramente “in nuce” il germe di quello che sarebbe inevitabilmente accaduto da lì ad una manciata di decenni (…un’inezia in termini geologici!).

Natura e Cultura: la cura di ciò che è prodotto dall’Uomo non è più scindibile dalla cura del Pianeta

Man mano che il concetto di Antropocene si va espandendo tra la comunità scientifica internazionale, il fulcro della discussione si sta spostando da un modello di trasgressione progressiva tra Olocene e Antropocene, ad una chiara e rapida transizione dello stato del Sistema Terrestre.

Bisogna porre attenzione al fatto che l’Antropocene, nella sua accezione cronostratigrafica/geocronologica, ricomprende tutti gli eventi ed i processi avvenuti, nel suo arco di tempo, sulla Terra, a prescindere se essi siano antropici (ossia causati dall’uomo) o naturali.

Pertanto la storica contrapposizione tra natura e cultura, tanto cara al dibattito sorto negli anni ’70-’80 dello scorso secolo in seno alle scienze archeologiche e sociali, sembra perdere definitivamente senso: la storia dell’uomo e la storia naturale sono ormai indissolubilmente fuse in una unica Storia (Chakrabarty, 2009; Hamilton, 2017), o forse l’animale uomo ha ormai preso consapevolezza di non essere davvero mai uscito dal mondo della Natura.

A questo proposito è opportuno osservare che il concetto di “Antropocene” differisce in maniera netta dal concetto di antropocentrismo. Nel rappresentare la portata dei cambiamenti (nella geosfera, nella biosfera, ecc.) che l’Uomo è in grado di apportare rispetto a qualunque altra specie vivente, disponendo, in maniera illimitata ed indiscriminata di quello che la natura può offrire, nel nostro pianeta o al di fuori di esso, non si mette l’azione dell’Uomo al centro dell’Universo (Haraway, 2016; Tsing, 2012; Horn & Bergthaller, 2020).

Al contrario Antropocene, nella accezione più ampia e multidisciplinare del termine, rappresenta la presa di coscienza della profonda interrelazione che intercorre in tutto l’Universo, specie Sapiens sapiens compresa, e soprattutto della portata dei pericoli che l’alterazione sistematica di questo equilibrio sta, di fatto, apportando all’intero sistema della vita sulla Terra.

In questo ampio dibattito, dove Storici, Archeologi, Sociologi, Filosofi si trovano a loro agio, pur con le dovute differenze interpretative, tra le discipline che con maggiore difficoltà si pongono in relazione con questo nuovo concetto di era geologica, si trovano il Diritto internazionale, ma ancor più Economia, creando una frattura importante all’interno di una visione globale, diacronica e a lungo termine.

Rilevanza dell’Antropocene nel Diritto internazionale e nell’Economia

I Giuristi guardano all’Antropocene essenzialmente da due punti di vista: indagare quali sono gli ambiti legislativi maggiormente “sensibili”, in grado di influenzare le forze di maggior spinta verso un forte impatto umano sui territori (es. leggi del mare, diritto terriero, ecc.) e, aspetto ancor più complesso, come le leggi internazionali possano proteggere dalle conseguenze di tale impatto, pur rimanendo rilevanti nella regolazione dei rapporti tra gli Stati.

In questo caso la rapida approvazione di una definizione geo-stratigrafica rigorosa del termine è fondamentale per fare in modo che Antropocene divenga un “fatto incontrovertibile” e universalmente noto, non aperto ad interpretazioni, adatto a dare sostegno a norme internazionali precise e riconosciute dagli stati.

Il quadro è ben delineato da Waters et alii 2021:  

“For international law scholarship, two links to the Anthropocene have emerged. First, how core parts of international law, such as of the law of the sea but also of territory and its acquisition over centuries, facilitated the emergence of forces that led to ever-greater human impacts on the Earth System (Vidas, 2011; Viñuales, 2018). Second, how international law can evolve to be able to embrace the consequences of changes in the Earth System and remain relevant for the regulation of interstate relations (e.g., International Law Association [ILA], 2018). International law discussion concerning the Anthropocene is, however, less about its conceptual content and more about the consequences of the geological, Earth System change that it represents. This means that international law will largely rely on the geological interpretation of the Anthropocene, should it be formalized. Indeed, upon being formally adopted through a rigorous procedure within the competent geological/chronostratigraphic bodies, the scientific fact of the Anthropocene as a new epoch will become considered a fact of common knowledge—a “notorious fact,” with a legal implication of not being open to interpretation, but rather providing an inherent part of the overall context within which international law operates.”  

Le teorie economiche, anche quando hanno a che fare con aspetti della natura (come le materie prime) tendono a trattarle “separatamente” dal loro contesto, come elementi sottoposti alle “leggi del mercato”.
Non a caso un celebre economista politico, Jean-Baptiste Say (1767–1832) identificò i beni pubblici, come “l’aria che respiriamo”, come totalmente irrilevanti dal punto di vista economico, in quanto non vendibili né acquistabili.

È evidente come questo atteggiamento porti, nel migliore dei casi, ad ignorare il concetto di Antropocene, quando non ad entrarvi direttamente in conflitto, in quanto proprio l’Economia è il maggior settore coinvolto nelle cause del “Grande impatto”.

Uniche eccezioni, al momento molto limitate, quei settori delle discipline economiche alternative direttamente interessate agli aspetti “etici” dell’ecologia e della sostenibilità della crescita della popolazione.

Antropocene e il Patrimonio culturale

La profonda interrelazione tra Patrimonio culturale ed Antropocene è ottimamente riassunta dalle parole di Antonio Lucci, studioso e ricercatore di Estetica della Storia presso l’Humbold Un. di Berlino:
“La questione centrale circa l’Antropocene consiste nel ripensare la relazione tra l’umanità e l’ambiente, le loro interrelazioni, interconnessioni ed interdipendenza. Per questo motivo, il tema della conservazione, valutazione e valorizzazione del lavoro dell’uomo inserito nell’ambiente sono temi cardine dell’Antropocene. In questo senso, il Patrimonio culturale deve essere considerato essenziale nella mediazione tra natura ed umanità, in quanto traccia permanente della relazione tra l’uomo e il mondo, nella sua integrità. La durabilità e conservazione dei manufatti umani dopo la scomparsa delle generazioni che li hanno prodotti apre la questione dell’eredità culturale, in termini di cosa la nostra generazione intende trasmettere alle future generazioni, così come quanto il riconoscimento di quanto le generazioni passate hanno tramandato a noi stessi. Opere d’arte, edifici, manufatti umani, così come le idee, le tecniche e le forme di organizzazione che hanno cambiato la Terra per renderla abitabile, sono temi centrali per una filosofia che voglia indirizzare l’epoca presente (trad. da Lucci A., 2018)”.

Anthropocene’s central question concerns rethinking the relation between humans and the environment, their interactions, interconnections and interdependence. For this reason, issues of conservation, evaluation and valorization of the human works inserted in the environment are key
issues within Anthropocene. In this sense, cultural heritage is to be considered essential in the mediation between nature and humans, as the permanent trace of the relation between humans and the world as a whole.
The permanence and conservation of human artifacts after the disappearance of the generations that have produced them, opens up the issue of the cultural legacy, in terms of what people from our generation intend to bequeath to future generations, as well as recognizing what the past generations have passed on to us. Artworks, buildings, human constructions, as well as ideas, techniques and forms of organization that have changed the Earth to make it inhabitable, are central issues for a philosophy wishing to address the present epoch”.

Nel 2010, nell’ambito della importante esposizione internazionale “dOCUMENTA” che si tiene ogni cinque anni a Kassel, in Germania, l’artista Amy Balkin, nota esponente di temi ecologisti in campo artistico, lanciò l’iniziativa di iscrivere nella Lista del Patrimonio Mondiale l’atmosfera della terra.
La sua proposta era circostanziata e ben motivata, si basava sull’assunto che lo stato di emergenza in cui si trova la salute della nostra atmosfera terrestre fosse in perfetta assonanza con i presupposti e gli scopi dell’UNESCO e sull’innegabile interesse universale per quello che può essere considerato un “bene comune” per antonomasia.
Questo “Sito” del Patrimonio Mondiale avrebbe trasceso tutti i confini, estendendosi dal livello del mare alla “Fascia di Kármán”, ad una altezza di 100 Km s.l.m., dove si pone il limite tra l’atmosfera terrestre e lo spazio cosmico.

Ben presto l’artista si dovette scontrare con varie problematiche: la candidatura doveva essere presentata da una Stato, o da un partenariato di Stati. Furono mandati, dal Kassel, inviti a 186 paesi, ma non vi furono adesioni. Il Ministero Federale Tedesco non ritenne opportuno presentare la candidatura, neanche dopo aver ricevuto oltre 90.000 cartoline che rispondevano ad un appello dell’artista.

La priorità della protezione di un bene universale come l’aria che respiriamo, noi insieme a tutti gli esseri viventi sul Pianeta, si scontrava davanti ad evidenti limiti politici, economici, ad interessi transnazionali e all’impossibilità, per l’umanità, di ragionare “fuori dai confini”.

È stato visto che la definizione principale di Antropocene, nella sua accezione geo-cronostratigrafica essenziale, si basa sulla possibilità di identificare precisi indicatori di un insieme di fenomeni di portata globale, che travalicano i limiti geografici dei territori e delle nazioni, e sincronici, sul lungo – lunghissimo periodo.

I due esempi sopra riportati ci dimostrano che il tema della protezione del Patrimonio Culturale Universale ci indica la stessa chiave di lettura: la necessità di travalicare i limiti geopolitici nella definizione del valore del patrimonio e quella di trasmetterne la memoria attraverso le generazioni.

Antropocene e UNESCO
In tempi recenti anche l’UNESCO lavora fattivamente su questo tema, fornendo anche strumenti didattici e teoretici per impostare correttamente il dibattito, dal punto di vista degli obiettivi principali della Convenzione. A tal fine, per il periodo 2021 – 2026, è stato lanciato uno specifico progetto, denominato IGCP 732 “LANGUAGE of the Anthropocene (LANGUAGE – Lessons in anthropogenic impact: a knowledge network of geological signals to unite and assess global evidence of the Anthropocene)”.
Un altro importante strumento messo a disposizione da UNESCO è il “Lexicon” per definire correttamente e comprendere i concetti alla base della definizione di Antropocene:

Biocapacity
This concept was first put forward in the early 1990s by the Swiss sustainability advocate,  Mathis Wackernagel, and Canadian ecologist William Rees. Their research on the biological capacity of the planet required by a given human activity, led them to define two indicators: biocapacity and the ecological footprint (see below). Since 2003, these two indicators have been calculated and developed by the Global Footprint Network, which defines biocapacity as “the ecosystems’ capacity to produce biological materials used by people and to absorb waste material generated by humans, under current management schemes and extraction technologies”.

Capitalocene
This term was put forward by American environmental historian and historical geographer Jason W. Moore, who preferred to use the term  Capitalocene rather than Anthropocene. According to him, it is capitalism that has created the global ecological crisis leading us to a change of geological era. A variant of the Capitalocene, the notion of Occidentalocene, affirmed notably by the French historian Christophe Bonneuil, holds that responsibility for climate change lies with industrialized Western nations and not the poorest countries.

Co-evolution of genes and culture
According to American sociobiologist Edward O. Wilson, genes have made possible the emergence of the human mind and human culture (language, kinship, religion, etc.) and, conversely, cultural traits could favour genetic evolution in return. This happens through the stabilization of certain genes that give a selective advantage to members of the group in which the cultural behaviour is observed. Several anthropologists and biologists have criticized this idea of “co-evolution” between genes and culture, arguing that the transmission of cultural traits is a volatile phenomenon that does not obey the laws of Darwinian evolution. They also argue that, over the past 50,000 years, humankind has experienced significant cultural transformations, whereas the human gene pool has remained unaltered (with only a few exceptions).

Ecological footprint
According to the Global Footprint Network, this term is “a measure of how much area of biologically productive land and water an individual, population or activity requires to produce all the resources it consumes and to absorb the waste it generates, using prevailing technology and resource management practices”.

Geological epoch
The geological timescale is characterized by different kinds of time units – eons, eras, periods, epochs, and ages. To be recognized as such, each subdivision must have palaeo-environmental (climatic features), palaeontological (fossil types) and sedimentological (resulting from erosion by living beings, soils, rocks, alluvion, etc.) conditions, that are similar and homogenous. The International Commission of Stratigraphy and the International Union of Geological Sciences (IUGS) set the global standards for geological timescales. We are currently living in the Holocene epoch, which is associated with human sedentism and agriculture. If all the above conditions are met, the Anthropocene could soon be defined as a new geological epoch.

Great Acceleration
Scientists are in agreement that, since the 1950s, ecosystems have been modified more rapidly and profoundly than ever before – under the combined effects of the unprecedented increase in mass consumption (in countries belonging to the Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD), dramatic population growth, economic growth and urbanization. The American chemist Will Steffen dubbed this phenomenon the “Great Acceleration”.

Great Divergence
The expression “Great Divergence”, coined by American historian Kenneth Pomeranz, designates the industrial boom that has separated Europe from China since the nineteenth century. According to Pomeranz, it was the unequal geographical distribution of coal resources and the conquest of the New World that gave the decisive impetus to the European economy.

Planet (as a unit of measurement)
The ecological footprint has a “planet equivalent”, or the number of  planets it would take to support humanity’s needs at any given time. In order to determine a country’s ecological footprint, we measure the number of planets that would have been needed by the world’s population if it consumed as much as the population of that country. According to the World Wildlife Fund (WWF), “every year, humanity consumes the equivalent of 1.7 planets to meet its needs”.

Sixth Extinction
The Great Extinction is the term given to a brief event in geological time (several million years) during which at least 75 per cent of species of plants and animals disappear from the surface of the earth and the oceans. Of the five Great Extinctions that have been recorded, the best known is the Cretaceous-Tertiary, 66 million years ago, which included the disappearance of the dinosaurs. The American biologist Paul Ehrlich has suggested that we have now entered the sixth Great Extinction (although, for the time being, its destruction in terms of number of species is considerably less than in the five others) – 40 per cent of the planet’s mammals will have seen their habitat range reduced by 80 per cent between 1900 and 2015.

Spheres
For the Russian mineralogist and geologist Vladimir Vernadsky, who devised the concept of biosphere in 1926, Planet Earth is made up of the intermeshing of five distinct spheres – the lithosphere, the rigid, rock outer layer; the biosphere, comprising all living beings; the atmosphere, the envelope of gases known as air; the technosphere resulting from human activity; and the noosphere, the part of the biosphere occupied by thinking humanity, including all thoughts and ideas. Other authors have since added to this list the notions of hydrosphere (all the water present on the planet) and cryosphere (ice).

Technodiversity
The word biodiversity refers to the diversity of ecosystems, species and genes, and the interaction between these three levels, in a given environment. By analogy, technodiversity refers to the diversity of technological objects and the materials used to make them.

Technofossils
Fossils are the mineralized remains of individuals that lived in the past. By analogy, technofossils are the remains of technological objects.

Technosphere
The technosphere refers to the physical part of the environment that is modified by human activity. It is a globally interconnected system, comprising humans, domesticated animals, farmland, machines, towns, factories, roads and networks, airports, etc.

Esmeralda Nicolicchia Remotti

Per approfondire:

Indicatori crono-stratigrafici a confronto tra due ere geologiche: accelerazione dei processi antropici tipici dell’”Antropocene” (da Waters C.N. et alii 2021, fig. 1)