Cristina di Svezia a Roma

Dall’abiura del protestantesimo all’ingresso trionfale nella Città Eterna: luoghi ed imprese di una ex sovrana molto amata e controversa. La donna che, nella Roma della seconda metà del XVII secolo, influenzò e promosse la poesia, il teatro, la musica ma anche le scienze, l’astronomia, la medicina e l’alchimia. Come per la mitologica Araba Fenice, dalle sue ceneri sorgerà l’Accademia dell’Arcadia.

Roma

L’arrivo di Cristina di Svezia a Roma fu il momento culminante di un lungo processo preparato già in patria. Cristina, divenuta sovrana giovanissima, alla morte del padre Gustavo Rodolfo II di Svezia nel 1632, prese la decisione di abiurare la fede protestante in cui era stata allevata per abbracciare il Cattolicesimo. Per questo delicato passaggio, che avvenne nel 1652, la sovrana fu fortemente avversata nel suo Paese, ed il 23 febbraio 1654 decise di abdicare e volontariamente esiliarsi a Roma.

Il viaggio ed il trasferimento di Cristina a Roma, conseguenza delle scelte religiose e politiche della sovrana, travalicavano ampiamente l’ambito personale per inserirsi nel delicato equilibrio di poteri tra la Chiesa Cattolica ed il mondo protestante. Per questo ogni gesto, ogni apparato, ogni momento del complesso ed articolato cerimoniale che accompagnò l’evento fu caricato, come del resto era uso comune all’epoca, di simboli ed allegorie.

Fu previsto un primo ingresso in incognito, a tarda ora della notte del 20 dicembre attraverso la Porta “Pertusa”dei giardini vaticani, e la sistemazione della sovrana in alloggi presso la Torre dei Venti.

Fu poi pianificato un ingresso trionfale, attraverso la Porta del Popolo, che comportò una riqualificazione degli spazi urbani lungo i quali si sarebbe svolta la parata e la realizzazione di quei ricchi apparati scenografici e complessi protocolli che tanto scalpore fecero nelle cronache del tempo.

Ingresso Trionfale di Cristina a Roma nel 1655

Il 23 dicembre del 1655, Cristina fece il suo ingresso trionfale a Roma attraverso la Porta del Popolo, che Alessandro VII (Fabio Chigi) aveva fatto restaurare dal Bernini per l’occasione.

L’avvenimento, immortalato con l’iscrizione “FELICI FAUSTOQUE INGRESSUI”, rimase uno degli avvenimenti più importanti nella storia della Roma del Seicento.

Dalla Porta del Popolo (Porta Flaminia), la favolosa parata si snodò lungo “le strade del Corso, di San Marco, del Giesù, de’ Cesarini, della Valle, di Pasquino, di Parione, di Banchi, di Borgo nuovo fino a San Pietro”. (cit. da “C. Festini, I trionfi della Magnificenza Pontificia”)

La Parata dell’ingresso di Cristina a Roma
Le cronache raccontano l’entrata solenne della regina in città, che apparve davvero memorabile per il suo significato politico-ideologico, religioso e simbolico, sottolineato dallo sfarzo e dai colori degli abiti e delle livree, dagli apparati effimeri, dalla quantità di carrozze, lettighe, cavalli e muli, dal gran numero e dall’altissimo rango dei partecipanti, laici ed ecclesiastici, dalla vastità dei loro seguiti, dagli effetti speciali (colori, suoni di trombe e tamburi, luminarie, spari di moschetti e cannoni, situazioni capaci di meravigliare, ornamenti, oggetti simbolici), dall’esposizione di drappi colorati e arazzi sulle facciate dei palazzi, dal concorso di una folla strabocchevole che sembrava occupare ogni spazio libero…La cavalcata è il nucleo centrale di questa festa barocca che investe l’insieme degli abitanti, dall’alto clero e dalla nobiltà fino al popolino, oltre che l’insieme della città…fu il vero  baricentro scenografico della festa, creata per la regina e intorno alla sua figura.” (cit. da De Caprio 2018, p. 209)
Lo Stemma della Regina Cristina di Svezia
Gli stemmi dei Wasa, sormontati dalla corona regale, furono esposti lungo tutto il portico di San Pietro e la Basilica, sontuosamente addobbata con arazzi e paramenti preziosi.
L’impresa della regina è costituita dal manipolo d’oro, le spighe di grano intrecciate dell’insegna araldica dei Wasa utilizzate dal Bernini nella decorazione di Porta del Popolo, nel festone sormontato dallo stemma dei Chigi (sei monti sotto una stella a nove punte). Lasciando le altre insegne, quella delle tre corone e quella del leone, con l’abdicazione Cristina scelse per sé il manipolo d’oro essendo quest’Arma unicamente sua, e quella delle tre Corone in quel tempo comune sì alla Svezia che alla Polonia ed alla Danimarca (cit. da De Caprio 2018, p. 205, nota 67)

In quel fausto giorno, la regina, ricevuta da Alessandro VII nella Sala Regia, s’inchinò umilmente tre volte davanti al pontefice, baciò il suo piede, la sua mano, ed espresse il suo giubilo per essersi convertita alla fede cattolica.

Due giorni dopo, in occasione del Santo Natale, l’ex sovrana fu cresimata dal papa assumendo il nome di Alessandra; come secondo nome Cristina adottò anche il nome di Maria richiesto dal pontefice, ma si firmò sempre Cristina Alessandra.

Le prime visite di Cristina a Roma

Nei giorni seguenti il suo ingresso ufficiale a Roma, Cristina iniziò una lunga serie di visite ufficiali ai luoghi simbolo della Città:

  • presso la Biblioteca Vaticana.
  • alla Biblioteca Alessandrina, fondata da poco dal Papa Alessandro VII ed a Sant’Ivo alla Sapienza, sede della prima Università romana.

    Il 14 gennaio 1656 Cristina fece visita alla Sapienza, dove assisté ad alcune lezioni e ricevette in dono 53 libri scritti da professori dell’Università; quattro giorni dopo si recò al Collegio Romano.

“Cristina lasciò la sala accompagnata dal cardinale e per la medesima loggia passando, si fermò poco spazio nel mezzo di essa, vicino alla balaustra, a vedere la prospettiva del cortile. Scese per l’istessa scala di destra, passò per il porticato destro, si fermò per poco tempo a dar un’occhiata alla prima scala, parimenti alla seconda. Poi visitò brevemente la chiesa di Sant’Ivo fermandosi ad osservare la cupola e la lanterna (il cupolino) che era ancora in costruzione. Le furono mostrate anche alcune piante e prospetti dell’edificio che erano stati preparati dal Borromini per mostrarli al papa.”

(cit. da De Caprio 2019, p. 108)
Sant’Ivo alla Sapienza
La più antica sede universitaria a Roma, fu voluta da Papa Alessandro VI Borgia, che vi intese riunire tutti i saperi e i diversi ambiti di studio che si svolgevano a Roma. L’edificio della Sapienza si fonda dunque su un impianto quattrocentesco, ma il suo splendido aspetto attuale è dovuto alla genialità di Gian Luigi Bernini, incaricato da Papa Urbano VIII Barberini di erigervi una “cappella”.
Del trionfo simbolico creato dall’architetto barocco si ammirano la pianta mistilinea a forma di stella a sei punte, la famosissima “lanterna” a spirale e una miriade di piccole api, presenti ovunque nel monumento, simbolo di purezza, laboriosità e generosità incondizionata sin dall’antichità, ripreso dalla famiglia Barberini, nello stemma della casata.
  • al Collegio Romano dove incontrò il padre Athanasius Kircher che le fece dono di un piccolo obelisco d’argento, con un encomio in trentatré lingue diverse. Il gesuita tedesco, matematico, fisico, filosofo, storico e cultore di lingue orientali, qui insegnò per più di quarant’anni e, nel 1651, vi istituì la wunderkammer che costituì il nucleo del Museo Kircheriano.
Il Museo Kirckeriano
Visitò anche la “galleria” dove padre Kircher aveva raccolto esemplari della natura, dell’arte e oggetti venuti da tutte le parti del mondo attraverso le missioni. Nel giardino vide erbe, piante, metalli,
“e altre cose più rare, per comporre la triaca e il balsamo della vita… si fermò qualche tempo a considerare l’herba nomata Fenice, che a guisa appunto dalla Fenice, germoglia nelle acque perpetuamente dalle sue ceneri; vide ancora fontane e orologi, che dalla virtù della calamita con occulta forza si raggirano”. (Galeazzo Gualdo Priorato, Historia della Sacra Maestà di Cristina Alessandra di Svezia, Roma, 1656, cit. in Partini 2010)
Vai al catalogo della collezione (de Sepibus 1678)
Il Collegio Romano
Il Collegio fu istituito da Sant’Ignazio di Loyola dopo la fondazione della Compagnia di Gesù, con l’intento di provvedere alla formazione giovanile dagli studi elementari fino all’università. La sede definitiva del Collegio (dal 1584 al 1870) fu fatta costruire da Papa Gregorio XIII nella piazza omonima, nel cuore del Rione Pigna. All’interno padre Athanasius Kircher vi pose il suo “gabinetto di curiosità” (1651), considerato il primo museo al mondo, su ispirazione delle “wunderkammer” diffuse negli ambienti intellettuali e scientifici sin dal Rinascimento.
Oggi l’edificio ospita il Liceo Classico statale Ennio Quirino Visconti e la sede centrale del Ministero della Cultura.
Porta del Popolo. Prospetto interno con le insegne di Papa Alessandro VII Chigi e l’iscrizione commemorativa dell’ingresso di Cristina di Svezia a Roma
Veduta della Porta del Popolo (P.ta Flaminia), da Piazza del Popolo
  • in Campidoglio: il 7 luglio 1656 Cristina fu ricevuta con grandi onori in Campidoglio dove, per commemorare la sua visita, fu posta una lastra di marmo, intagliata con la sagoma dei “monti” dello stemma di Alessandro VII, con al centro il profilo della regina coronata dalla stella dei Chigi.
Piazza del Campidoglio
Arce della città fondata da Romolo, sede di numerosi ed importanti templi, primo tra tutti il Tempio di Giove Capitolino. Nell’87 a.C. vi fu costruito, da Quinto Lutazio Catulo, il Tabularium, ossia l’edificio adibito ad Archivio di Stato, i cui resti, tra la fine del XI ed il XII secolo, furono trasformati in residenza fortificata dalla famiglia baronale dei Corsi. Con la nascita delle istituzioni comunali, nel 1144 il palazzo divenne sede, come Palazzo Senatorio, del ricostituito Senato romano.
Dopo gli importanti interventi realizzati nel XV secolo, l’assetto della Piazza è dettato dal potente progetto di Michelangelo Buonarroti, che tuttavia fu completato molto più tardi. Cristina di Svezia poté ammirare la statua del Marco Aurelio, ed il nuovo Palazzo del Conservatori, ma non la pavimentazione progettata dall’artista, realizzata solamente nel 1940 sulla base della riproduzione che l’incisore Étienne Dupérac ci ha tramandato del progetto Michelangiolesco.
Cola di Rienzo
Il Colle Campidoglio, simbolo di quel Potere cittadino, contrapposto a quello papale, a Roma non riuscì mai veramente a conquistare la piena autonomia: a testimonianza di questa lotta tra potere ecclesiastico e potere civile rimane oggi, al margine settentrionale della scala di accesso al Colle, detta la cordonata, la statua di Cola di Rienzo (al secolo Nicola di Lorenzo Gabrini), Tribuno del Popolo (ma in realtà Notaio della camera Apostolica) che perse la vita per difendere gli ideali del libero comune.

La venuta di Cristina a Roma coincideva con la ricorrenza dell’anniversario di Alessandro VII, motivo per favolosi festeggiamenti che la tennero molto occupata, fino a quando non si stabilì ufficialmente a Palazzo Barberini, dove fu accolta trionfalmente da una folla che contava almeno 6000 spettatori oltre che da una lunga processione di cammelli, elefanti abbigliati fastosamente e con torri in legno collocate sulle loro groppe.

Palazzo Barberini
Il Palazzo, che si trova a Roma in via Quattro Fontane, fu concepito quale coronamento dell’ascesa della famiglia dei Barberini. Maffeo Barberini (Firenze 1568 – Roma 1644), che salì al soglio pontificio il 5 agosto 1623 come Papa Urbano VIII, già come cardinale si era distinto per il suo amore per le arti e il suo mecenatismo, che arrivarono a sbocciare durante il suo lungo pontificato, quando si affermò un’epoca di grande splendore artistico. Costante preoccupazione del Papa fu quella di creare per la sua famiglia uno stato di privilegio e a questo scopo volle edificare una dimora degna di una corte, per stabilirvi il potere e renderla alla pari delle residenze delle grandi famiglie romane.
Il palazzo fu costruito nel periodo 1625-1633 ampliando il preesistente edificio della famiglia Sforza, di cui un improvviso rovescio finanziario interruppe i lavori di ristrutturazione e portò nel 1625 alla vendita dell’immobile ai Barberini, che acquisirono l’intero isolato tra via Quattro Fontane e la via Pia (l’attuale via XX Settembre).
Incaricato del progetto fu un anziano Carlo Maderno, con l’aiuto di Francesco Borromini.
Alla morte del primo, il Borromini affiancherà Gian Lorenzo Bernini, cui passò la direzione del cantiere. Questi rispettò in parte il progetto originale del Maderno, ma suoi contributi importanti furono l’ideazione del grande salone centrale, che occupa in altezza i due piani del palazzo, e l’attigua sala ovale. Sua fu la concezione della loggia vetrata, tramite tra la facciata e il sottostante porticato, come pure lo scalone quadrangolare che dà accesso al piano nobile. Al contributo di Borromini si deve invece la splendida scala elicoidale, all’estremità opposta del porticato.
Gli ambienti furono decorati con interventi dei più importanti artisti dell’epoca: la grande volta del salone centrale fu affrescata da Pietro da Cortona con il Trionfo della Divina Provvidenza, a simboleggiare la gloria spirituale e temporale della famiglia. Pietro, in qualità di architetto, ebbe un ruolo decisivo anche nell’ideazione del progetto del teatro, costruito nel cortile della Cavallerizza di Palazzo Barberini.
Il palazzo, così riccamente concepito secondo i canoni del barocco romano, fu prezioso non solo per le sue architetture e le manifestazioni artistiche che vi si svolsero, ma anche per la sontuosa collezione che si apprestava ad ospitare. Le raccolte della famiglia Barberini si erano arricchite lungo tutto il secolo XVII, a partire dal pontificato di Urbano VIII e su impulso della fervente attività di trasformazione urbana che stava in quegli anni subendo la città. Tuttavia, sul finire del XVII secolo, la gloria e le ricchezze della famiglia Barberini decaddero lentamente. L’ultima discendente, Cornelia Costanza (1716-1797), venne data in sposa a Giulio Cesare Colonna di Sciarra, primogenito ed erede dei Colonna.
I reperti dell’antica Roma presenti nella collezione avevano subito varie traversie e dispersioni fin dal Settecento, ma erano ancora assai cospicue nel 1934, grazie al fedecommesso che, confermato nel passaggio dallo Stato pontificio al Regno d’Italia, aveva conservato anche altre importanti raccolte principesche romane, come quelle dei Doria Pamphili, dei Torlonia e dei Borghese.
Il 26 aprile di quell’anno un discutibilissimo Regio Decreto aboliva il vincolo in cambio di appena 16 dipinti (su circa 640), consentendo la dispersione delle raccolte Barberini anche all’estero.
Lasciarono così l’Italia opere di statuaria antica, di Dürer, Caravaggio, Guido Reni, Guercino e Poussin, oltre a un’innumerevole quantità di artisti minori. L’unica conseguenza positiva della vendita della collezione Barberini fu il sollevare uno scandalo tale da rendere inevitabile la creazione di nuove e urgenti norme di tutela che impedissero in futuro una perdita di tali dimensioni.
Il palazzo era nel frattempo rimasto nelle mani degli eredi Barberini.
Purtroppo con l’Unità d’Italia, l’area dove sorge la dimora fu coinvolta nelle speculazioni edilizie e nello sviluppo della Capitale, con la costruzione dei ministeri lungo la via XX settembre.
 Al giardino fu risparmiata la completa lottizzazione, sacrificando strisce marginali verso la strada Pia furono costruiti Palazzo Bourbon Artom, Palazzo Calabresi, Palazzo Baracchini, il Palazzo dello Stato Maggiore della Difesa, lungo la rampa delle carrozze fu realizzata una grande serra (1875).
Negli anni del fascismo (1938) gli edifici “per la famiglia” lungo via delle Quattro Fontane furono sostituiti dal Palazzo dei Beni Stabili e fu costruita alle spalle della casina di sughero la palazzina Savorgnan di Brazzà (1936, Giovannoni e Piacentini), nei cui scavi di fondazione venne trovato un mitreo di II secolo.
Nel 1949 il Palazzo fu acquistato dallo Stato italiano ed oggi ospita parte dell’importante Galleria Nazionale d’Arte Antica e l’Istituto Italiano di Numismatica.

Il soggiorno romano di Cristina

Nei mesi a venire l’ex sovrana soggiornò dapprima presso Palazzo Farnese (dal 26 dicembre 1655), appositamente ristrutturato per l’occasione dal Duca di Parma, allora proprietario.

Qui Cristina iniziò a condurre una vita quasi irreprensibile, ricevendo la Comunione e continuando a frequentare chiese, monasteri e monumenti, ma il suo atteggiamento nascondeva in realtà ben altro carattere. Ben presto si mostrò insofferente alle pratiche religiose ed iniziò ad occuparsi di arte, musica e spettacolo, indispettendo sempre più Papa Alessandro VII.

Al suo ritorno, dopo una serie di viaggi fuori dall’Italia, il 15 maggio 1658 Cristina tornò nuovamente a Roma, dove risiedette nel bel Palazzo Rospigliosi, appartenente al Cardinal Mazzarino (cit. da Lovelli 2013).

Palazzo Farnese
Alla fine del XV secolo Alessandro Farnese, creato cardinale a 25 anni il 25 settembre 1493, acquista, nel cuore del Rione Regola, a pochi passi dal Tevere, il vecchio Palazzo Ferriz e le sue pertinenze. Le ambizioni di Alessandro Farnese si indirizzano verso un nuovo progetto per una dimora all’altezza di un aspirante al soglio papale. La costruzione del Palazzo Farnese inizia nel 1514, sotto la direzione di Antonio da Sangallo il Giovane.
Quando Alessandro viene eletto Papa il 13 ottobre del 1534, assumendo il nome di Paolo III, i lavori al palazzo prendono nuovo impulso, anche con l’avvicendamento nella direzione del cantiere, alla morte del Sangallo (1546), di Michelangelo. A questi si devono importanti modifiche nella facciata, con la realizzazione di giochi policromi nel paramento laterizio che saranno evidenziati dai recenti restauri eseguiti per il Giubileo del 2000.
Alla morte del Papa, il nipote cardinal Ranuccio Farnese affida al Vignola la direzione dei lavori e commissiona al pittore manierista Francesco Salviati l’affresco della sala dei Fasti Farnesiani, con il compito di esaltare il pontificato e le glorie dei Farnese. Un decennio più tardi (1565) Taddeo Zuccari completa l’affresco della sala dei Fasti Farnesiani.
Sul finir del secolo sarà Giacomo della Porta a terminare i lavori della facciata posteriore e la costruzione del Palazzo.
I successivi eredi apporteranno altre migliorie ed arricchimenti alla dimora romana della famiglia Farnese, attraverso l’opera dei fratelli Annibale ed Agostino Carracci, che affrescarono il gabinetto del cardinale Odoardo meglio conosciuto come “camerino dell’Ercole” e realizzarono gli affreschi della Galleria. Nel 1603 si provvide infine alla costruzione della terrazza e del palazzetto del cardinale Odoardo, in riva al Tevere.
Nel XVII secolo la famiglia Farnese spostò progressivamente i sui interessi nel Parmense, ed il Palazzo conobbe una fase in cui si avvicendarono importanti coinquilini. In particolare, grazie ai legami della famiglia con il trono di Francia, la residenza ospitò, per tutto il Seicento, gli ambasciatori dei Re Luigi XIII e Luigi XIV; tra questi illustri ospiti da ricordare la presenza del cardinale Alphonse-Louis de Richelieu, fratello del cardinale Armand-Jean du Plessis, duca di Richelieu, Primo Ministro di Luigi XIII.
E proprio in questo contesto si inserisce il trasferimento, in un’ala del Palazzo Farnese, della ex regina Cristina di Svezia, avvenuto il 26 dicembre 1655.
Il secolo XVIII vede una progressiva spoliazione dell’edificio da parte degli eredi della famiglia. Nel 1731, alla morte di Antonio Farnese, duca di Parma e Piacenza, Elisabetta, ultima erede, sposata a Filippo V di Spagna, lascerà le proprietà Farnese a suo figlio Carlo, primo re Borbone del Regno delle Due Sicilie, poi chiamato a diventare Carlo III di Spagna nel 1759, che diede inizio al trasferimento a Napoli della prestigiosa collezione Farnese.
Il 3 settembre 1808 il nuovo re di Napoli Gioacchino Murat ricevette l’omaggio dei suoi nuovi sudditi all’interno della Galleria dei Carracci.
I Borbone, nel corso del XIX secolo apportarono alcune modifiche e restauri, a cura dell’architetto Antonio Cipolla, e commissionarono la decorazione delle sale e dei camerini del piano nobile ai fratelli Grassi.
Nel 1863 il Re Francesco II di Borbone delle Due Sicilie, a seguito dell’occupazione di Napoli da parte delle truppe garibaldine, si trasferì in esilio a Roma, in Palazzo Farnese.
Con le vicende conseguenti alla presa di Roma e dell’Unità d’Italia, il Palazzo divenne la sede dell’Ambasciata di Francia, mediante un contratto di locazione con i Borbone delle Due Sicilie, seguito poi da un contratto di acquisto da parte della Francia.
Oggi la sede diplomatica francese è ancora situata all’interno del Palazzo dove, al secondo piano, dal 1875, l’Ecole française de Rome assunse sede istituzionale insieme alla sua splendida biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte.
Dal XX secolo i successivi restauri della facciata e del Palazzo saranno curati dallo Stato Italiano che, esercitando il diritto di prelazione nel 1936, ne ha rilevato la proprietà, siglando con la Francia un contratto di locazione per 99 anni.
Palazzo Mazzarino – Rospigliosi
Il Palazzo Mazzarino – Rospigliosi (oggi Pallavicini Rospigliosi) fu costruito a Roma dalla famiglia Borghese pressi il Colle Quirinale, sui ruderi delle Terme di Costantino, oggi inglobati nello scantinato del Casino.
Il palazzo fu voluto dal cardinal Scipione Borghese, nipote del papa Paolo V, come grande dimora della famiglia edificata accanto alla residenza papale del Palazzo del Quirinale, la costruzione fu affidata dapprima a Flaminio Ponzio, alla cui morte successe l’architetto Carlo Maderno, il giardino impreziosito dal “Casino dell’Aurora” fu progettato da Giovanni Vasanzio.
Il palazzo passò successivamente a Giovanni Angelo Altemps, che lo acquistò nel 1616 facendolo rifinire da Onorio Longhi. Già sei anni dopo veniva rivenduto ai Bentivoglio, passò quindi ai Lante e poi al cardinal Mazarino e da lui ai suoi eredi Mancini. Durante questo tempo, servì da sede all’ambasciata francese prima che essa fosse trasferita nel più spazioso palazzo FarneseNel 1704 il palazzo fu acquistato dal principe Giovanni Battista Rospigliosi, nipote di papa Clemente IX, e da sua moglie, la principessa Maria Camilla Pallavicini, e divenne l’abitazione della famiglia Rospigliosi Pallavicini, che ancora ne possiede un’ampia porzione. Il resto dell’edificio, ceduto dai Rospigliosi a seguito di una grave crisi finanziaria, divenne per molti anni la sede della Federconsorzi ed attualmente è la sede della Coldiretti.
L’opera di maggior interesse è rappresentata dal Casino dell’Aurora che ospita l’omonimo affresco di Guido Reni (1614). Sul soffitto del piccolo ambiente l’artista ha raffigurato un tema molto caro al classicismo romano: Apollo nel suo carro preceduto da Aurora, che porta la luce al mondo. L’affresco di Guido richiama i rilievi di antichi sarcofagi, di cui la facciata del Casino è riccamente istoriata. Possibile prototipo di quest’opera è un quadro riportato della Galleria Farnese – spettante ad Agostino Carracci – che raffigura Aurora e Cefalo. Sulle pareti sono quattro affreschi delle stagioni dipinti da Paul Bril e due trionfi dipinti da Antonio Tempesta.
Il Palazzo conserva la Galleria d’arte Pallavicini, il cui primo nucleo costituito dal cardinale Lazzaro Pallavicini include oggi più di 540 pitture, disegni e sculture di artisti come Annibale Carracci, Pietro da Cortona, Nicolas Poussin, Botticelli, Lorenzo Lotto (Trionfo della Castità), Diego Velázquez, Pieter Paul Rubens, Domenichino, Luca Signorelli, Guido Reni e Guercino, essa costituisce, con le collezioni possedute dalle famiglie Colonna e Doria-Pamphilij, una delle più grandi raccolte private d’arte a Roma.

Successivamente Cristina volle abitare il Palazzo Riario alla Lungara (oggi Palazzo Corsini), di cui apprezzava la posizione ai piedi del Gianicolo e gli splendidi giardini. A tal fine nel marzo 1659 diede incarico al cardinale Decio Azzolino, suo amico e collaboratore, di predisporre il suo insediamento al Palazzo (Partini 2010; Lovelli 2013), di cui intraprese restauri ed abbellimenti. In particolare oggetto delle sue cure fu proprio il giardino, che contribuì ad arricchire di piante rare ed esotiche, costituendo il nucleo originario dell’odierno Orto Botanico di Roma, in cui ancora si possono ammirare alcuni platani risalenti all’epoca del soggiorno della sovrana.

Durante i lavori di ristrutturazione, i primi anni furono trascorsi in una abitazione secondaria, oggi non più esistente: un casino rurale nei pressi del Palazzo, dove Cristina si trasferì al termine dei lavori nel 1663.

Diventato la sua abitazione definitiva, nel palazzo Cristina pose la sua piccola e variegata corte e divenne ben presto la sede di intrighi, viaggi diplomatici, feste e avventure galanti, ma anche di importanti relazioni intellettuali, che porteranno nel 1674 alla nascita dell’Accademia Reale, alla quale venne aggiunta un’Accademia di Fisica, Storia naturale e Matematica.

L’amore e l’interesse per le arti e per le scienze e l’innato mecenatismo di questa donna colta ed intelligente, furono le basi da cui si originò, subito dopo la sua morte ed in sua memoria, l’Accademia dell’Arcadia.

Palazzo Riario (poi Corsini) alla Lungara
Palazzo Riario, ora Palazzo Corsini sede dell’Accademia dei Lincei, fu eretto nel XV secolo per il cardinale Domenico Riario nipote di Sisto IV (Francesco della Rovere), che accoglieva intorno a sé artisti e letterati, tra cui Michelangelo ed Erasmo da Rotterdam. Tale tradizione continuò Cristina, con il suo mecenatismo verso artisti e scienziati; qui riaprì l’Accademia Reale (1674) e qui abitò fino alla sua fine (1689)

Il mecenatismo dell’ex sovrana – Teatro, musica e feste Barocche

Sin dai primi tempi del suo soggiorno romano, Cristina si distinse per il suo perfetto mecenatismo,

(Prevedere un collegamento a percorso tematico sulle feste rinascimentali e barocche a Roma?)

contornandosi di musicisti, artisti e letterati tra i quali si ricordano Alessandro Scarlatti, Arcangelo Corelli, Bernardo Pasquini ed i poeti Alessandro Guidi e Vincenzo Filicaia.

Per permettere le rappresentazioni fondò, nel 1670 con l’aiuto del conte Giacomo d’Alibert, il Teatro di Tor di Nona.

Teatro Tordinona
Il Teatro Tordinona, conosciuto anche come Teatro Apollo a Tordinona, fu fondato da Cristina di Svezia nel 1670 per permettere le rappresentazioni teatrali degli artisti da lei promossi e sostenuti. Nella realizzazione del suo progetto fu aiutata dal conte d’Alibert, che intercesse presso l’allora papa Clemente IX per la cessione di un immobile, precedentemente di proprietà della famiglia Orsini, sito dove ora sono gli argini del Tevere sull’attuale lungotevere Tordinona. L’immobile era stato adibito fino al 1657 a carcere e, successivamente, a locanda. L’ambiente si prestava in quanto già in precedenza, a più riprese, si tentò di trasformarlo in teatro, ma la politica del precedente Papa Alessandro VII, avverso alle manifestazioni mondane, aveva fatto fallire il progetto.
I lavori per adattare lo stabile a teatro vennero affidati a Carlo Fontana. La sala, di circa 16×22 metri, era ad “U” nella tradizione del teatro all’italiana, composta da sei ordini di palchi (altre fonti parlano di sette od otto ordini). La costruzione lignea era decorata all’interno dai pittori Magno e Jovanelli ed era accessibile sia da terra che dal fiume.
L’inaugurazione avvenne nella primavera del 1670 con uno spettacolo di Tiberio Fiorilli, a cui venne affidata l’intera stagione teatrale.
Poiché le rappresentazioni erano permesse unicamente nel periodo di carnevale, d’Alibert rimase seccato nel sapere che Filippo Acciaiuoli, frequentatore del salotto dell’Accademia di Cristina di Svezia, aveva ottenuto il permesso da parte del nuovo pontefice, Clemente X, di rappresentare spettacoli al di fuori del periodo deputato: per questo motivo, per rendere possibili gli allestimenti, il teatro Tordinona passò nelle mani dell’Acciaiuoli che lo rilevò in affitto per milleduecentocinquanta scudi l’anno (Guzzi 1998). Novità assoluta per i tempi, sotto la “direzione artistica” dell’Acciaiuoli, il palcoscenico fu calcato tra il 1671 ed il 1674 anche da donne. Nel 1671 ebbero la prima assoluta Amanti, che credete e Chi mi conoscera di Alessandro Stradella, Il novello Giasone e Scipione Africano di Acciaiuoli, nel 1672 O ve’, che figurace di Stradella e nel 1673 L’amor per vendetta, overo L’Alcasta di Bernardo Pasquini.
Nel 1675 venne chiuso per i festeggiamenti del Giubileo, da questo momento in poi il Teatro Tordinona subì alterne vicende, più volte distrutto e ricostruito. Conobbe anche, nel 1831, un intervento in facciata dell’arch. Giuseppe Valadier, commissionato dall’allora proprietario Alessandro Torlonia.
Nel corso del XIX secolo il teatro riabilitò il proprio nome, nel 1870 vi fu aggiunto il palco reale, in onore al re d’Italia Vittorio Emanuele II di Savoia, nel 1882 vi si presentò la prima assoluta di Le duc d’Albe di Donizetti e nel 1887 della Giuditta di Stanislao Falchi. Nonostante il successo, nel 1888 i lavori per la costruzione degli argini del Tevere, le cui continue inondazioni minavano la sicurezza della città e dei suoi abitanti, ne resero necessaria la demolizione. Solo nel 1925 venne costruita una stele commemorativa, con un’epigrafe di Fausto Salvatori, dove sorgeva una volta il teatro.

Il Carnevale a Palazzo Barberini – 29 febbraio 1656

La presenza di Cristina offrì l’occasione per l’allestimento di feste sontuose, occasione subito colta dalle più potenti famiglie che si contendevano il primato del potere di cui Roma era indiscussa rappresentante. Così i Barberini, da poco tornati dalla Francia, in occasione del Carnevale del 1656 organizzarono un evento destinato a rimanere famoso nelle cronache locali, e non solo.

“La Giostra dei Caroselli si pone … ideologicamente ed allegoricamente, in modo decisamente diverso dalla Giostra del Saracino del ’34. Innanzitutto il Luogo prescelto: non più una celebre piazza cittadina ma il Cortile dello stesso Palazzo di famiglia (Palazzo Barberini alle Quattro Fontane n.d.r.). Uno spazio più serrato e raccolto nelle sue valenze teatrali che riproponeva in termini anche nostalgici l’opzione raffinata delle corti principesche cinquecentesche o del primo Seicento per spettacoli all’aperto più esclusivi e cortigiani, dove la valenza cortile-piazza si poneva a modello determinante per lo sviluppo della sala teatrale vera e propria, con la galleria superiore o le finestre che si affacciavano sul cortile a suggerire un uso verticale. Il Cortile della Cavallerizza, sul quale prospettava l’ingresso monumentale al Palazzo dalla parte di Città, chiuso da un lungo muraglione e al quale si accedeva attraverso il maestoso portale di Pietro da Cortona prospiciente l’ex piazza Grimana, ora Barberini, si presentava come una vera e propria corte principesca, e in questo senso verrà allestito il “Teatro della Comparsa”, demolendo per l’occasione anche alcune case.” (cit. da Chiappara 2014)

Incaricato del progetto del Teatro, dei costumi, dei finimenti dei cavalli e delle macchine fu Giovan Francesco Grimaldi.

Un saggio della spettacolarità del programma previsto lo si può facilmente immaginare dalla descrizione degli eventi che ci ha lasciato conte Galeazzo Gualdo Priorato nella sua Historia sulla regina Cristina di Svezia:

“La sera del 28 febbraio iniziò la Giostra dei Caroselli con l’entrata nel cortile delle due squadre di cavalieri che si sarebbero dovute fronteggiare, con i rispettivi carri. Sono i Romani, con abiti d’argento ed azzurro seguiti dal carro di Roma-Amore tirato dalle Grazie, e le Amazzoni, in abiti rossi e oro seguite dal carro dello Sdegno tirato dalle Furie…Dopo un Dialogo in musica incominciarono i caroselli dei cavalieri dai costumi ricchissimi ed altissime acconciature con piume colorate… Ma il momento clou è l’entrata del carro di Ercole, una macchina che aveva la forma di un mostruoso Dragone, il quale vomitava ardenti fiamme con sopra il dorso Ercole, abbigliato con la pelle del leone Nimeo, ed accompagnato da fanciulle che distribuivano pomi d’oro delle Esperidi. In ultimo trionfalmente entrava il Carro del Sole, rappresentato come una divinità risplendente con ai piedi le quattro stagioni e le ventiquattro ore”. (cit. da Chiappara 2014)

Testimonianza della grande eco “mediatica” dell’evento la troviamo nel grande quadro di Filippo Gagliardi e Filippo Lauri, oggi conservato al Museo di Roma.

Carosello nel cortile di Palazzo Barberini in onore di Cristina di Svezia
Monumento commemorativo della visita di Cristina di Svezia in Campidoglio, oggi conservato presso i Musei Capitolini; 1656

Nel febbraio del 1689, Cristina si ammalò gravemente, e la certezza di una vicina fine la spinse a redigere una missiva per chiedere perdono al papa, per tutte le noie che aveva procurato. La sua natura forte la tenne in vita fino al mese di aprile quando, a causa di una brutta ricaduta, morì alle sei del mattino del giorno 19.

Nel suo testamento nominava suo unico erede il cardinale Azzolino, che tuttavia la seguì meno di due mesi dopo, lasciando l’eredità al nipote Pompeo Azzolino.

Cristina aveva nominato esecutore testamentario il papa, che dispose una veglia funebre di ben quattro giorni a Palazzo Riario ed ordinò che fosse celebrato un solenne funerale nella Chiesa di Santa Maria in Vallicella, durante il quale venne posta su un suntuoso baldacchino, al centro della navata illuminata da trecento torce, con in testa la corona reale, per l’ultimo saluto. Venne

poi sepolta, sempre per ordine del papa, nelle Grotte Vaticane al di sotto della Basilica di San Pietro, accanto ai resti di Matilde di Canossa (1046-1115) (Lovelli 2010).

Nel 1696 Papa Clemente XI fece realizzare dall’architetto Carlo Fontana un monumento in onore della defunta sovrana, terminato nel 1702, per commemorare la sua stupenda conversione e per la gratitudine della città di Roma, che fu collocato all’interno della Basilica Vaticana.

Esmeralda Nicolicchia Remotti

Corteo funebre per le esequie della regina Cristina di Svezia; 1689, Palazzo Braschi

Bibliografia

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  • Stamperia della Rev. Camera Apostolica, 1656.
  • Giorgio de Sepibus, Romani collegii Societatis Jesu musaeum celeberrimum, Romae, ex Officina janssonio-waesbergiana, 1678, antiporta.
  • Galeazzo Gualdo Priorato, Historia della Sacra Maestà di Cristina Alessandra di Svezia, Roma, 1656
  • Carboni L, “Documenti di e su Cristina di Svezia nell’archivio segreto vaticano”, in Platania G. (a cura di), Roma e Cristina di Svezia. Una irrequieta sovrana. Sette Città, 2016, Un. Tuscia, Viterbo, pp. 209 – 248
  • Chiappara I., “La Giostra del Saracino del 1634 e la Giostra dei Caroselli del 1654. Il mecenatismo dei Barberini e Marco Marazzoli”. Soria 2014.
  • De Caprio F., “L’entrata in incognito di Cristina di Svezia in vaticano: cerimoniali e simboli”, in Settentrione n.s., Rivista di Studi Italo-finlandesi, n.30, anno 2018, pp. 187 – 211
  • De Caprio F., “Il primo soggiorno romano di Cristina di Svezia attraverso il Diario di Carlo Cartari”, in Lanzetta L. (a cura di), La storia o/e le storie nel Diario di Carlo Cartari avvocato concistoriale romano. Istituto Nazionale di Studi Romani, LuoghInteriori, Città di Castello, 2019
  • Di Palma W., “Cristina di Svezia: Scienza ed alchimia nella Roma barocca”, in Atti del Ciclo di Conferenze (Roma, Sala Borromini, 17 – 19 aprile 1989) sulla cultura scientifica alla corte romana di Cristina di Svezia, nuova biblioteca dedalo 99: serie nuovi saggi. Bari, Dedalo, 1990, pp. 18, ss.
  • Lovelli G., “Cristina di Svezia: una regina anticonformista”, in Viaggio e soggiorno romano di una regina: Cristina di Svezia, n. 005, Società e chiesa del 1600. 13 Ottobre 2013.             .
  • Partini A. M., “Cristina di Svezia e il suo Cenacolo Alchemico”. Roma, Ed. Mediterranee, 2010
  • Platania G. (a cura di), Roma e Cristina di Svezia. Una irrequieta sovrana. Sette Città, 2016, Un. Tuscia, Viterbo
  • Guzzi P., “Il teatro a Roma. Tre millenni di spettacolo”. Roma, Rendina Editori, 1998. voce Teatro Tordinona, da Wikipedia.